Fernando Proce, dal microfono alla tv, una vita nella musica

Fernando Proce, dal microfono alla tv, una vita nella musica

Fernando Proce, dal microfono alla tv, una vita nella musica

Fernando Proce, rinomato conduttore radiofonico e televisivo, ha saputo affascinare milioni di ascoltatori e spettatori con la sua voce distintiva e il suo carisma travolgente, diventando una figura di riferimento per diverse generazioni. Ogni mattina, dalle 9 alle 12, guida su R101 il programma “Procediamo” con Regina e Sabrina Bambi. La sua carriera, costellata di successi e momenti memorabili, lo ha visto passare dalle radio più prestigiose agli schermi delle trasmissioni televisive più popolari. In questa intervista, Fernando Proce ci racconta del suo nuovo progetto cinematografico, condividendo aneddoti della sua vita professionale e riflettendo sui cambiamenti del settore.

Fernando Proce 4Stai lavorando alla sceneggiatura di un film: ce ne vuoi parlare?

«Sì, è vero, sto scrivendo una sceneggiatura per celebrare il cinquantesimo anniversario della radio privata italiana, che si terrà il prossimo 10 marzo. Io ero un bambino nel 1975 e ricordo di essere entrato in radio con curiosità e alcune difficoltà, dato che ero piccolo. Tuttavia, poi in radio ci sono rimasto per tutta la vita. Prima d’ora non si era mai realizzato qualcosa sulla storia della radio privata! Spesso facciamo corsi e master nelle università, ma spiegare la radio di una volta ai ragazzi di oggi è complesso. È tutto diverso, noi montavamo le antenne sui tetti».

Come si chiamerà il film?

«Il titolo sarà “Il bambino che amava la radio” e sarà un film drammatico con molti colpi di scena. Racconterà anche le difficoltà che affrontavamo noi del sud, le battaglie con i genitori un po’ ingenui, che avevano paura. Prendevamo le botte perché i genitori volevano che studiassimo e lavorassimo. Nella storia, la radio è solo lo sfondo. È il dramma di un bambino che prendeva le botte per lavorare in un settore che nessuno conosceva e sapeva affrontare. Oggi, per fortuna, dopo cinquant’anni, abbiamo molte gratificazioni».

Sei tu il protagonista?

«No, ma stiamo pensando a una mia comparsa nel film e ci saranno diversi personaggi, tanti amici. Vogliamo che il film sia un lascito per i giovani, affinché capiscano come tutto è nato».

Che estate sarà la tua?

Fernando Proce 2«Sarò in giro, in diretta da molte location. Sto collaborando con il Pride di Padova, dove parteciperò a eventi importanti, e altrettanti ne farò in Salento. Inoltre, da qualche decennio faccio anche l’host di case con mia figlia a sud di Gallipoli, in Salento. Mi piace tanto e lo faccio con il cuore».

Quali sono i brani più trasmessi in radio?

«A maggio sembrava che non ci fosse niente, poi sono arrivati tutti insieme. Non posso che menzionare il brano del mio carissimo amico Malgioglio: “Fernando”. Molti mi chiedono se Fernando sia io… no, non sono io. Noi abbiamo già fatto il pezzo “Danzando Danzando” che ha avuto milioni di visualizzazioni. Credo che Malgioglio volesse dedicarla a Ronaldo».

Perché si dice che la musica di oggi non rimarrà nel tempo?

«Perché è omologata, ci sono dei filoni. Sicuramente una che rimarrà è quella di Tony Effe e Gaia, “Sesso e Samba”, poi mi piacciono moltissimo Geolier e Tananai. Di certo resteranno pochissime canzoni di oggi, forse due, ma non scompariranno tutte. La corsa alla modernizzazione e ai numeri crea un po’ di confusione e non fa bene alla musica. Questo non significa che non ci siano i talenti, anzi, ma c’è una pressione da catena di montaggio sull’artista».

I tuoi brani del cuore?

«Escluse le mie (ride, ndr), è una domanda difficile perché ho vissuto tutta la mia vita immerso nella musica in radio e avrei una canzone preferita per ogni settimana. Partirei da un brano che mi cantava sempre mio padre quand’ero bambino, ed è il primo vero tormentone della storia: “Legata a un granello di sabbia” di Nico Fidenco. Poi, ovviamente Vasco, di cui ne scelgo una a caso, “La noia”. Infine Geolier con “L’ultima poesia”. Emanuele mi ricorda moltissimo Pino Daniele, l’ho scelto per questo».

A cura di Mario Altomura

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